Dal greco gé, terra, e phageìn, “mangiare”, la geofagia non è solo un comportamento anormale che si osserva in alcuni bambini, ma una vera e propria usanza alimentare che esiste ancora oggi presso numerose popolazioni “primitive”.

Gli indigeni delle coste della Guinea considerano come un buon boccone una specie di terra giallognola. Nell’isola di Giava si vendono dei piccoli bocconi di un’argilla rossastra leggermente arrostita. Gli abitanti della Nuova Caledonia, durante i periodi di carestia, usano ingerire una pietra molto friabile che si trova nella loro zona. Sull’altopiano boliviano gli indios si cibano di un’argilla finissima che mescolano con sabbia.

Fino a non molto tempo fa, nei bazar persiani si trovavano in vendita diversi tipi di terra “alimentare” : un’argilla bianca, fine e untuosa, e un’altra terra, bianca, untuosa e leggermente salata.

La geofagia è stata riscontrata anche presso alcuni popoli europei, in Scandinavia e in Germania.

Perché si mangia la terra? In certi casi questa usanza è entrata a far parte di un rituale religioso, ma in origine è la conseguenza di una dieta alimentare povera di certe sostanze minerali, come alcuni tipi di sali, e serve proprio per sopperire, almeno in parte, a queste carenze. Le galline, ad esempio, mangiano sassolini o la calce dei muri nel periodo in cui depongono le uova, quando cioè hanno più bisogno di sali di calcio, presenti nel terreno, per formare i gusci. Sempre per procurarsi il calcio, il gatto mangia le ossa dei piccoli animali che cattura.

In questi comportamenti gli animali sono guidati da una capacità istintiva di sentire la mancanza di un determinato principio nutritivo. Tale capacità è scomparsa nell’uomo civile, guidato più spesso dal gusto o dall’abitudine che non da esigenze alimentari reali, ma presso le popolazioni che vivono più a contatto con la natura, questa sensibilità istintiva esiste ancora e dà luogo a usanze alimentari che a noi sembrano strane o disgustose.